Naturalismo e contrattualismo, Montesquieu e Rousseau

Naturalismo e contrattualismo

Alcuni filosofi, prima della nascita della sociologia, si erano posti quello che abbiamo visto essere il problema della ricerca sociologica: come è possibile che molti individui si assoggettino alle norme necessarie per vivere in società?

Per molti secoli c'era una concezione naturalistica aristotelica, secondo la quale la società umana sarebbe un fatto del tutto naturale scaturito dalla socievolezza istintiva dell’uomo. Durante il Seicento, i filosofi cominciarono invece a vedere con chiarezza che l'uomo è tuttavia per natura restio a mettere prima sé stesso e i propri interessi alle esigenze di una collettività di altri uomini. Emerse anche il problema della compatibilità tra individui e norme. Quindi, i filosofi di allora formularono la teoria del contratto sociale. Tra gli esseri umani vi sarebbe una sorta di tacito accordo, che essi avrebbero stipulato per fissare delle regole di convivenza certe e condivise, a cui tutti debbono sottostare. 

Per i sostenitori di questa teoria (detti “contrattualisti") l'uomo viveva originariamente in uno “stato di natura", in cui ognuno conduceva la propria esistenza singolarmente e preoccupandosi soltanto di soddisfare i propri bisogni.

Questo stato di vita naturale e solitaria comportava tuttavia disagi e difficoltà per la sopravvivenza di ciascuno. Le difficoltà e le incertezze dello stato di natura, legate al carattere individuale e utilitaristico dell'essere umano, sarebbero state dunque i motivi che spinsero gli uomini ad associarsi tra loro, dando vita in tal modo a una società.

Montesquieu e lo "spirito delle leggi" 

Durante I'llluminismo, il barone di Montesquieu (1689-1755) mise in evidenza come la teoria del contratto sociale sia priva di attenzione per l'evoluzione storica delle culture. Essa, infatti, cerca di spiegare in un solo modo l'origine di tutte le forme di società civile, mentre a un'analisi più attenta si capisce che le società sono molto diverse le une dalle altre, sia per il contesto naturale in cui esse evolvono (geografia del territorio, clima ecc.) sia per i costumi, le tradizioni, le religioni su cui si basano. L'opera principale di Montesquieu, Lo spirito delle leggi (1748), costituisce il primo tentativo rilevante di fornire un'analisi dei fatti sociali. Montesquieu è il primo a mettere in rilievo come molti caratteri della società dipendano per esempio dal clima (caldo, freddo o temperato), dal tipo di territorio (montano, di pianura o costiero), dalle attività svolte dai suoi membri (pastorizia, agricoltura o caccia) e da tanti altri fattori di questo genere. Le norme che governano la vita sociale non sono leggi assolute fissate una volta per tutte e valide per l'intera umanità, ma dipendono dal variare delle tante condizioni interne ed esterne che accompagnano la storia della civiltà. 

Jean-Jacques Rousseau

Nello stesso periodo un altro illuminista francese, Jean-Jacques Rousseau (1712-1778), ebbe il merito di introdurre una nuova variabile nell'indagine sulla società. Per Rousseau la storia dell'umanità riunita in società è fatta di disuguaglianze e ingiustizie e all'iniziale stato di natura tutti erano a suo avviso liberi e uguali. L'inimicizia e la guerra per Rousseau sono il prodotto delle disuguaglianze introdotte nel mondo con il contratto sociale e con la nascita della "società civile".

Ciò non significa che per Rousseau si debba auspicare un ritorno allo stato di natura. Sebbene sia stata la società a causare i mali più grandi, soltanto alla società spetta il compito di eliminarli.


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